Onnipotenza odontoiatrica
Oggi seduta dentistica. Ad una certa età i denti si frantumano come bom bom zuccherosi. Sdraiato sul lettino mentre il mio amico strappadenti mi invadeva la bocca con le sue agili mani, pensavo a come sia semplice e repentino trovarsi fragili e deboli. Tra aspiratori e raschiatoi metallici ho cominciato a focalizzare che forza e debolezza non sono cose che esistono di per sé, ma esistono per l’assoluta mancanza di una rispetto l’altra. E da questa semplice considerazione si arriva subito alla conclusione che tutti siamo potenzialmente ed irrimediabilmente deboli. Senza accorgersene. Senza preavviso. Come una carie che fa il suo lavoro sigillata da un’otturazione. Un mattino, bevi il caffè, si sbriciola in bocca un dente e scopri un canyon. E fa molto male. Da uomo che non deve chiedere mai a vittima del dolore perforante, da forte a sofferente, da indipendente a debole. E lui, l’odontoiatra, può salvarti con la sua forza. Non credo sia stata l’anestesia a farmi vaneggiare col pensiero. Ma lo sguardo in un quadro, del protagonista, il cavadenti, mi è fisso nella mente: uno sguardo delirante, di potenza pura. E il poveraccio dolente, succube, debole, trepidante, inerme, quasi a supplicare. L’incrocio dei loro sguardi da la misura del rapporto tra la potenza e la debolezza. Il Cavadenti, di Gerrit Van Honthorst