22 gennaio 2023
Scrivere per scrivere non ha senso. Come non ha senso scrivere nella speranza dell’immortalità. Molto spesso mi è capitato di immaginare:”un giorno troveranno queste parole e …”. E cosa? Spesso immagino, quando scrivo, il volto del destinatario cercando di interpretare la sua espressione, il suo accigliarsi, l’impercettibile tellurismo dei moti facciali per scegliere parole, punteggiatura, quei pochi artefizi che conosco o presumo di conoscere. La faccia di chi legge prende forma nella mia immaginazione, e da lì un fluire di parole calibrate per il destinatario delle mie effusioni… Un bell’espendiente finchè rimaniamo nel circuito delle utilità, del comunicare per lavorare, la prassi, la performance. Ma un diario e un’altra cosa. Un diario è la nudità. Davanti un diario una persona si rivela fragile, spoglia, senza alcuna maschera. Un diario è uno stato di non belligeranza. Scrivendo ora, mi immagino la faccia di chi dovesse leggere … Vedo i sorrisi a mezz’asta, lo scuotere del capo, l’ironia che non vuole esplicitarsi sperando di non essere crudele ma diventandola inevitabilmente. No, un diario non lo scriverò mai. O forse sì… Ora non so. Scrivo con l’irruenza di un cinquantenne travolto dai social, Wattpad, WordPress, Facebook (seppur con dei pregiudizi di fondo pesanti per quest’ultimo, un certificatore di idiozia), e tutto quello che ti può far credere di essere in cima ad un pulpito digitale con milioni di ascoltatori oranti. Invece oggi le mie parole sarebbero affidate ad un universale oblio. Un mare di dimenticanza. A senso decidere di scrivere. Impegnarsi? Scrivere per scrivere sembra l’unico alibi. Scrivere per la gioia di fare qualcosa di magnificamente inutile, sembra la via di uscita. Cosa potrebbe essere un diario dunque? Un viaggio fatto di parole per provare l’ebbrezza di un’eiaculazione del pensiero; un esercizio svolto per affermare il nostro esserci; lo “scrivere” inteso come testimonianza di un esserci in primis a noi stessi.
Scrivere un diario, scrivere di noi per piantare un vessillo, per temprare la lega del nostra presenza. Scrivere per esserci. Ma perché ora? Ora che forse ho vissuto più della metà della mia vita? Non so. Ora per certo so bene che non posso capirlo.
Davanti ad un disvelamento che mi fa vivere la thaumazein, cioè la meraviglia che ci sbigottisce, sento il bisogno di scappare; la memoria può essere un giaciglio fantastico per stemperare la fuga. Scappare, non fuggire. Cercare una via diversa per non tornare indietro.