michele casella

Diario minimo

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Il dubbio e il labirinto

Il labirinto di Chartres, opera del XII secolo.

Sabato sera sono andato a messa. Ora ci vado non più perché devo ma perché lo desidero. Mi rasserena il sacro che respiro nella penombra della chiesa vuota e oggi la Parola ha intrecci diversi che disvelano la divina umanità di Dio.

Spesso mi perdo nei miei pensieri, navigo altrove, ma qualcosa (che non so spiegare nemmeno a me stesso) si ricompone e mi riporta nel contingente della liturgia. Quando ero più giovane non mi capitava: erano o grandi slanci o terribili precipizi che si intervallavano nell’attesa del dono dell’avvicinarsi del Passaggio. Non avevo una “mezza misura” spirituale.

Il curato con il suo acerbo entusiasmo ha iniziato l’omelia. Il vangelo era quello dell’incredulità di Tommaso. Il giovane prete inizia così:”Ma voi, non avete mai avuto un dubbio? Non vi siete mai chiesti se tutto è vero?”. Folgorante! Non me lo sono mai detto, l’ho pensato tanto.  Non ho mai avuto lo spudorato coraggio di ammetterlo a me stesso.

Spesso il dubbio mi accompagna, mi assale e demolisce i fragili castelli del mio percorso spirituale. La fede è uno stato di grazia, il dubbio una certificazione di umanità, e io sono molto, molto umano…Le parole del giovane predicatore pieno di vita e sussulti, hanno aperto un varco. Mi sono chiesto: “Ma il dubbio è nemico o no del credente”. Una domanda come questa, un tempo, avrebbe ricevuto una risposta ideologica, totalitaria… Ora sono più benevolo e misericordioso, amo i dettagli e mi spaventano i picchi e le gravità.

Il dubbio mi ha fatto crescere come creatura. Le certezze assolute, acritiche, il dentro o fuori invece mi hanno adulterato l’esistenza. Umanamente l’integralismo mi ha inaridito. Sto riscoprendo la mansuetudine. Amo pensare che il dubbio non è una presenza dentro il labirinto, ma la via alternativa, angusta e panoramica per uscirne.

Presente indicativo

Un amico che bonariamente mi legge ogni tanto in questo mio diario, con pungente maestria mi ha fatto notare che quando scrivo uso sempre tempi del modo indicativo. Per quel che esprimo il mio seguace correggitore ritiene più consono il condizionale come modo verbale. Anche la struttura delle frasi dovrebbe essere meno categorica! Devo dire che l’osservazione mi ha molto incuriosito. Nella nota si asserisce pure che visti i temi che coltivo nel mio orto di pensieri, in particolare quando tratteggio tutti i figli illegittimi del Dubbio e del registro modesto con cui li affronto, e del mio amore per l’arte che non è mai certezza ma sovente trattasi di interpretazione, di via solitaria, i miei verbi o l’intera costruzione della frase dovrebbe essere meno netta, più indefinita. Ringrazio il caro seguace per questa nota stilistica. Ne faccio tesoro. Nel pomeriggio, tra la lavatrice rottasi improvvisamente, una tragedia in vacanza, visita all’abbazia di Pomposa, con custode zelante che invitava ad essere celeri e poi cena nei pressi di una palude con la compagnia di sanguigne zanzare che, devo dire, hanno pasteggiato lautamente, mi sono posto l’interrogativo se ci fosse un po’ di ragione nell’osservazione. Anzi, mi sono chiesto perché il mio parlare dell’etereo usasse modi e parole così terrene. Perché? Non lo so. Se posso azzardare una giustificazione ad una non colpa, mi difendo affermando che il condizionale è un modo senza responsabilità. L’indicativo ti impone sempre una direzione, la scelta di un orizzonte. Poi, per concludere, descrivere la commedia della vita con la libertà degli stili, dalla tragedia alla satira, dal pettegolezzo all’endecasillabo, dall’oscenità alla moralità della retorica… questa gamma di ingredienti da un senso di libertà grandissimo. Ed io scrivo per liberarmi, per evacuare la vita che quotidianamente digerisco. Sono vorace, onnivoro, ma ho imparato ad apprezzare i sapori e le contrapposizioni, le sfumature che la cucina, la creatività in genere sanno impiattare. Nulla di calcolato, lo dico solo per tranquillizzarmi, ma solo della sana e giocosa cucina dei sentimenti, con verbi, parole ed immagini usate con l’impudenza di chi poi consuma il cibo che cuoce. Per concludere il quadro di un autore svedese, Carl Larsson “Martina” alla. Galleria Internazionale d’arte moderna Ca’ Pesaro ed esposta in mostra a Rovigo, “L’Ossessione Nordica”. Mi piace l’atmosfera serena della paciosa ragazza, dilettante e saggia, formosa ed innocente che porta la colazione a chiunque sosti davanti al quadro. Siamo quel che mangiamo e cuciniamo. Buon appetito.

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