michele casella

Diario minimo

Confessione di un consigliere di campagna: la migrazione dei numeri

Oggi voglio parlare dei numeri. Non sono diventato Buonaiuto improvvisamente un pitagorico. No. Ma i numeri contano, e non lo dico io, lo dice la storia. Ed ogni giorno che passa questa asserzione assume un sempre maggiore valore assoluto. Perché mi chiederete? Semplice, perché come consigliere di campagna mi rendo conto, ogni giorno, che nonostante mi voglia occupare di piccole cose, delle varie ed eventuali per dirla in sintesi, il mondo della politica mi sovrasta ed inquieta. Mi chiede “conto”. Come accade ciò ? Forse la crisi e i suoi nefasti presagi….? No. Berlusconi e la sua deriva politico-morale? Acqua! Il dito medio di Bossi? Acqua ancora. L’opposizione che razzola nelle proprie idee e nel momento di esprimerle, l’unica cosa che sa dire è “ Berlusconi si deve dimettere ”? Nemmeno questo. I privilegi della casta, il Trota, la Minetti, il figlio di Tonino ….. questo mi spaventa? No, neppure questo. Ciò che mi spaventa veramente sono i numeri e la loro migrazione. Il conto delle cose, i voti in poche parole…..che alla fine , sono numeri. Adesso potremmo tutti accusare l’attuale legge elettorale della deriva dei numeri. Ci sta. Rimane comunque il fatto che anche fosse tutto diverso, ci fosse un’altra legge elettorale… se tutto potesse essere cambiato… nonostante tutto questo … sono i numeri a fare la differenza. É una legge naturale. E come molte cose partorite dalla natura è di una crudeltà non comprensibile all’uomo. Cosa c’entra…? Mi chiedete cosa c’entra? Procediamo con ordine. Dietro un numero, in politica, in parlamento, ci sta una persona. Questo numero è “l’espressione” di molti altri numeri che sommandosi, per tutta una serie di calcoli, vengono unificati in una unità. Ovvio… Ma se la democrazia la vogliamo fondare sull’etica, dobbiamo però accettare che tutto passi però dalla matematica. Eticamente parlando, un “valore”, come l’onestà, la trasparenza, la partecipazione, la vita, la famiglia, etc… deve avere una sua corrispondenza in numeri. Quindi non esistono valori che possano valere al di là dei loro “numeri”. Se il mio rappresentante è una persona eticamente straordinaria, questo non significa che possa numericamente contare di più. I numeri livellano l’etica. Eccoci al punto ….. Uno Scilipoti, in una democrazia, al momento del voto, conta con un De Gasperi. L’ho detta e adesso posso essere lapidato serenamente. Quando questa frase ha preso corpo in me ho avuto un brivido di orrore… non per l’associazione dei politici. Perché tale affermazione mi si è depositata dentro con quel contorno da “ verità assoluta” che non ha permesso alla mia coscienza di ribattere nulla al mio raziocinio. La cosa ancor più terribile di questa mia elucubrazione è un’altra però: i numeri migrano; contrariamente alla matematica, nella fase precedente al conteggio, indipendentemente dalla loro determinazione, possono migrare. Non sono come in matematica, che i numeri sono fissi e comunque quadrano. Se un “numero” mi rappresenta un’area etica, questo non significa che non possa rappresentarne anche altre. Quindi la loro collocazione gruppale, determinata con criteri etici, ideologici e di natura non razionale o meglio, dalla politica, poi può essere condizionata, da criteri non etici. Quindi …. siamo in balia. Possiamo venire governati dal caso. Qual’è l’unico dato certo: la quantità dei numeri. Se un’idea ha i numeri, passa. Se Berlusconi Silvio ha la maggioranza dei numeri dalla sua, il suo gruppo di numeri è maggiore di quello dell’opposizione, Silvio Berlusconi deve e può governare. Una persona non può piacere, essere detestabile, ma con i numeri può governare. Ma questa regola ha delle falle. Se 200 000 persone indignate e pacifiche fanno una manifestazione a Roma passano in secondo piano rispetto a 300 coglioni che distruggono tutto. Ergo che la matematica vale nei conteggi e non nelle manifestazioni di pensiero. La matematica è un dato quantitativo, non etico, mentre il pensiero è un dato qualitativo, quindi etico. Quindi la politica è matematica, mentre la democrazia è tragicamente imperfetta. Ribadisco che in questo mio strampalato pensiero c’è un non senso terribilmente chiaro, matematico. Ma eticamente senza senso. Visto che do i numeri…. vi lascio ad un mio modello, un assessore vero, che con i numeri ci sa fare. Ci sa fare anche con il pensiero. Alla prossima

Vallorz la pittura e il tatto

Ho visitato per caso una mostra di Paolo Vallorz. Per caso non del tutto. Alla fine del mio solitario pellegrinaggio nei saloni del Mart, mi sono reso conto che la mia “natura” ha sentito il richiamo dell’arte “terrena”, dell’arte “Naturale”. Diciamo che ero al Mart per i capolavori impressionisti e post-impressionisti provenienti dal Musée d’Orsay e per decidere qualcosa in merito alla mia tesi di laurea e vagando mi sono imbattuto in questo pittore che ha la stessa età di mio padre. Un incontro molto fecondo, per la mia visone dell’arte e per il mio rapporto con la flora, la fauna e il paesaggio che maturando si è addomesticato. La sua è un’arte che si tocca. É corteccia dipinta che sfrega; capezzoli femminili turgidi che lambiscono la pelle; le setole del maiale graffiano l’apparato sensibile. I suoi quadri, la sua stesura, hanno il senso del tatto. Le sue immagini non si vedono, ti toccano e sembra di sentirne la scorza, la durezza, la consistenza. Un segno che si perde in continuazione nella memoria e si ritrova nell’orma che la natura ha lasciato nel nostro vissuto. La sensazione che si prova osservando il tratto denso di Vallorz è come se osservassimo ogni mattina i nostri ricordi in uno specchio lattiginoso. Mi hanno colpito molto gli alberi e i busti femminili. Sono temi che si rincorrono. La nervosità insieme alla dolcezza delle curve, una vitalità robusta e matura in ogni caso. Merita una visita. La donazione Vallorz al Mart dal 02 luglio 2011 al 13 novembre 2011.

Siate affamati, siate folli …l’eredità di Steve Jobs

Tutti hanno scritto qualcosa su Steve Jobs. Lo faccio anch’io, con il pudore che si dovrebbe avere davanti alla grandezza, alla magnanimità di una vita. Scrivo di Steve Jobs non perché sono un cliente Apple, non me lo posso permettere, ma perché sono un profondono culture delle morte e la rispetto. Jobs è sto un uomo rinascimentale, una persona che con le sue idee ha rivoluzionato il mondo, lo ha reso migliore. La sua presenza composta, minimalista, libera da ogni orpello del successo, è stata un’icona della sua grandezza interiore e della sua visone del mondo. Tutti lo condividiamo. Memorabile il suo discorso a Stanford nel 2005: “ Siate affamati, siate folli”. Lo spessore della sua figura riguarda anche la sua morte. Non perché abbia fatto una morte eroica. No! Perché la sua vita è stata tutta una sublimazione della grandezza e la sua morte è stata un monito alla piccolezza del nostro essere umani. Grandezza e fragilità., insieme, sintetizzate mirabilmente nella vicenda umana di Steve Jobs. La sua vita è stata l’esempio di come osando, mettendosi in gioco, cercando veramente di fare ciò che le nostre aspirazioni ci portano a fare, si possa realizzare ciò che si sogna. La sua esperienza terrena ci sprona ad unire i puntini e a constatare quanto dietro ad una grande impresa ci sia un disegno d’amore.
La sua morte, prematura e annunciata da tempo, ci ricorda invece che siamo di passaggio: per questo occorre vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Questo è un ottimo motivo per fare ciò che ci piace. La morte, evocata nel discorso del 2005, ci rammenta l’ovvietà più lampante: che siamo nudi e che non abbiamo altro se non questa parentesi, chiamata vita, per realizzare i nostri sogni, per essere felici.
Che dire di più. Il suo essere “differente” non merita logorroiche orazioni. Vi lascio il suo discorso, un’eredità per il genere umano. Think different …. siate folli, siate affamati.

la Pace raccontata a mia figlia

Dedicato a chi ha marciato da Perugia ad Assisi.
Qualche sera fa, la mia piccola, che mi affianca sul divanone di casa, mi chiede con il candore tagliente dei suoi otto anni: “Papà ma perché marciare per la Pace, che cos’è la Pace”.

Con la svogliatezza della stanchezza gli racconto una favola:
“la Pace, bambina mia, è figlia del Perdono e della Giustizia, nasce dalla mente come “desiderio”, vive e cresce nel cuore come “necessità”.
La Pace è una favola dove “…e il vissero felici e contenti” non è mai scontato e dipende da chi questa favola l’ascolta.
La Pace è fragile come un bicchiere di vetro e può resistere agli urti solo se pieno.
La Pace non ha bisogno di difensori ma di costruttori.
L’unica rivoluzione che può garantire la Pace è quella interiore, quella che facciamo partendo da noi.
La Pace ha sempre dei costi altissimi, bambina mia, ma è un investimento che devi fare per i tuoi figli.
La Pace marcia con le gambe degli uomini, pensa con la testa degli uomini, diventa più forte con il sacrificio dei martiri.
Se la Pace fosse un oggetto, piccola mia, sarebbe una Croce e se avesse una sorella gemella si chiamerebbe Speranza.
La Pace è un’idiozia utile che non va capita ma vissuta.
Non esiste mai una guerra giusta mentre esiste solo una Pace figlia della Giustizia.
La Pace non ha religione, partito, tempo, bandiera o nazione: è un filo che lega tutti gli uomini.
La Pace è il mondo visto con l’occhio dei poveri, degli oppressi, degli ultimi”

A questo punto la mia piccola si addormenta … speriamo che la Pace non rimanga un sogno. Buona notte cucciola.

Il Fair Play è andato a farsi fottere ….

Oggi provo a metterla sulla filosofia. Lo faccio per diletto e premetto già che ho voglia di divertirmi. Sono da poco “sceso” o “salito” ,dipende dai punti di vista, nella vita amministrativo – politica – ideologica – nazionalpopolare dell’amena cittadina in cui la Provvidenza mi ha condotto. Devo dire che sono ancora in fase di svezzamento ma ho già riempito un quadernino di osservazioni che ora provo a condividere. Non c’ho scritto un granché su: qualche frase, qualche idea, piccoli fioretti a cui quasi sicuramente verrò meno. In questi giorni però ho fissato una massima, anzi, l’ho scritta a caratteri cubitali. Ad essere sincero non l’ho scritta personalmente, me medesimo; l’ha scritta il mio doppio, Casella Secondo, che si sta rivelando il doppio cinico del Casella che scrive, l’uomo vestito di buone intenzioni. Cosa ha scritto il mio doppio? Semplice:“non c’è più far play”. Una frase strana, fuori contesto, lapidaria quasi come una condanna. I due Casella che si avvicendano nell’amministrate gli umori del corpo che abitano, hanno iniziato un’indagine sul perché di tale affermazione, anzi, di tale sentenza. Perché mai è stata buttata sul quadernino. Il tutto è stato distillato nella recente esperienza amministrativa. Ho dovuto amaramente constatare che il confronto delle diverse idee è il primo ring in cui si combatte senza esclusioni di colpi. È il luogo in cui si è smarrita la lealtà. Potrà sembrare strano, ma il luogo del confronto, del costrutto, si è evoluto nel luogo della distruzione. A quale pro? Temo, e purtroppo ne ho conferme tutti i giorni, che questa situazione non sia stata cercata. Non è neppure dettata dal caso. Ci siamo arrivati perché come uomini ci siamo un po’ persi, ci siamo rassegnati al ribasso, ad accontentarci. Un’osservazione che riguarda tutti e non solo una parte. Nessuno si distingue. Siamo peggiori dei nostri padri. Non siamo più capaci alla purezza dei sentimenti, né all’amore né all’odio. E di conseguenza neppure siamo più all’altezza di portare rispetto. Va bene tutto, ci accomoda tutto e siamo disposti a tutto pur di ottenere “qualcosa” che ci interessa, da un risultato “politico” ai 5 minuti di notorietà. Ma la cosa che ci abbruttisce ancor di più, riguarda il come viviamo lo scontro. Non ci sono più regole interne etiche, non c’è più il buon senso del galantuomo. Siamo disposti, oggi, a tutto, anche all’imbestialirci, a fare del male gratuitamente, magari vestendoci con l’abito del “difensore della legge”. Casella secondo a questo punto sbotta urlando scocciato che uomini per bene non sono mai esistiti, che è sempre stato così, che sono un piccolo borghesuccio benpensante. Mi manda per giunta a “vaffanculo”. Il mio alter-ego si incazza ed io incasso. Come posso sperare di diffondere la virtù del fair play se interiormente una parte di me la ripugna con tutta se stessa? La schizofrenia del mio dibattito interiore mi confonde. Anche perché si proietta all’esterno inesorabilmente. Il fair play è una rappresentazione teatrale di un ideale. Temo di una fantasticheria. Non può esistere. Molti fatti me lo dimostrano. Che dire ancora? Non ci resta che la nostalgia. In un bellissimo film, Il Divo di Sorrentino, viene fatto dire a Giulio Andreotti, che fu uno degli uomini più influenti e potenti d’Italia una frase che è la sintesi dello stato di salute del fair play, un epitaffio che è singolare, che è pesante, che purtroppo sembra, al doppio che si dibatte in me, una conferma. Ricordando Nenni, il suo avversario più acerrimo, il Divo Giulio afferma laconicamente: ”quanto ci odiavamo… ma quanto rispetto c’era tra noi”. Altri tempi, altri uomini.

considerazioni di fine estate sul dubbio.

Sin da quando ero ragazzino l’estate rappresentava una stagione di particolare intensità umana e di grande valore per il mio cammino personale di crescita. Era la stagione in cui potevo permettermi di smettere i panni del bambino e di rivestirmi della divisa salutare dell’adulto lavoratore. Sul più bello che imparavo la parte, sprofondavo nuovamente nel mio status ordinario di scolaro. Ed accadeva sempre a Settembre. Questa finzione mi faceva essere grande anche nelle aspirazioni, nelle domande, nei quesiti esistenziali. Non ero solo un piccolo uomo goffo che cercava di emulare gli adulti che lo proteggevano, ma mi lanciavo, nei vastissimi momenti di solitudine, nel fingermi grande pure nelle domande che mi ponevo. Scimmiottavo ciò che vedevo in giro oppure alla tv. Chi sono, da dove vengo, cos’è la vita? L’amore … ed altre cose di cui non conoscevo minimamente il senso. Tutto questo veniva nutrito abbondantemente dall’ozio estivo. Chiaro, non intendo il far nulla, intendo l’aver nulla da fare e quindi il poter dedicarsi al pensare, al sognare con occhi pieni di occasioni. Costante di questa stagione, negli anni, è stata una. Non avevo dubbi. Mi ponevo le domande esistenziali certo, ma non capendone il senso era semplice pure darsi le risposte. Uno stato di grazia straordinario. Perché ricordare tutto ciò. L’estati adesso sono calde e ho sempre chiaro quello che devo fare. E i dubbi sono numerosi come le mosche. Quante mosche ci sono adesso.
Uno dei dubbi che mi sta rodendo in modo insaziabile e questo. Ho fatto bene a diventare un uomo pubblico, o meglio, è stato giusto “mettersi in politica”?. É malsano farsi questa domanda ora che sono stato eletto, ma il dubbio mi assale come l’afa.
Innanzi tutto sento fortissima la mia inadeguatezza. I sento impreparato ad essere interpretato su ogni mia affermazione: “ma cosa volevi dire …. forse intendevi?”. In sostanza non parlo più come prima, ma in modo codificato e tutto deve essere decifrato. La libertà d’essere se stessi è stata ridimensionata di molto.
E poi c’è questa sensazione che non esista l’idea di una politica come servizio. Esiste forte l’idea che chi fa parte di questa categoria, fondi il proprio agire sull’esclusivo mantenimento di se stesso. Non esiste la vocazione al servizio politico. E nessuno ci crede che possa mai esistere. Le motivazioni che mi hanno spinto a questa avventura, ferme, chiare, direi bambinesche ( come nelle mie estati tanti anni fa ) quindi ora hanno la pregevole compagnia del Dubbio, dell’incertezza, della mancanza di polarità che stabiliscano ciò che è nero e bianco.
La politica è l’arte delle risposte. Io per il momento ho solo domande e questo mi fa naufragare lontano. Non so cosa mi stia succedendo ma sto cambiando e quel bambino dalle monolitiche idee che sostava nel sovrumano silenzio della campagna deserta in cui sono nato, è sempre più un ricordo, un altro che si allontana da me, ora, assorto nei suoi pensieri e con lo sguardo fisso sulla Luna.

É morta Amy. A me piaceva molto. La sua voce aveva qualcosa di veramente vivo. Alla fine era la morte, che con veemenza l'ha riportata a sé. Ci sono vite che procedono inesorabilmente alla morte, con un'affinità innaturale, anzi, circolare. Addio Amy e per quelli che può servire ora, ora che sei muta, grazie.
Ti dedico questa

Preghiera della sera
Io, come un angelo seduto dal barbiere,
vivo stringendo uno scanalato bicchiere,
collo e ipogastrio curvi, una ” Gambier” tra i denti,
sotto i cieli gonfi di vele trasparenti.

In me mille sogni, come caldi escrementi
di vecchia colombaia, fan dolci bruciature;
e il mio tenero cuore è un alburno, a momenti,
che il giovane oro insanguina di linfe oscure.

E, quando con cura ho ringoiato ogni sogno,
mi volto, bevuti più di trenta bicchieri,
e mi raccolgo a mollare l'acre bisogno:

dolce come il Dio del cedro e degli issòpi,
io piscio altissimo e lontano contro i neri
cieli – approvato dai grandi eliotropi.

Arthur Rimbaud

Omaggio a Chagall

Oggi sono stato alla mostra “Il mondo sottosopra di Chagall”. Ci tenevo da tempo e finalmente ci sono riuscito. Un bambino che si é mantenuto nella fiaba, ha voluto viverci, e non solo da un punto di vista figurativo. Con lui dipingeva, negli atelier vicini al suo, nella prima esperienza parigina , Modigliani e il nucleo nascente dei surrealisti. In esilio negli Usa con Matisse, Duchamp, Dalí….. E lui rimane un ingenuo visitatore di un' infanzia dell' umanità che avrebbe voluto come rappresentazione di un amore universale che purtroppo rimane solo gesto creativo. “NON VOGLIO ESSERE MIGLIORE DEGLI ALTRI … VOGLIO VIVERE IN UN MONDO DIVERSO”. Grazie a questo artista bambino che ha sempre tradotto in arte non quello che vedeva, ma quello che possedeva, ho potuto emozionarmi con la chimica delle emozioni e dei colori. Mostra un pò scarna devo dire…. Molto bello il video-monografia proiettato. Artista da conoscere magari nel museo Nazionale Messaggio Biblico di Marc Chagall.

Considerazioni esistenziali

Dies horribilis …. Sono nella più remota palude padana a farmi divorare da zanzare fameliche. Sono qui a pubblicizzare l'adozione a distanza tra lo stand delle grappe e quello dei tautatori celtici. Cerco di seminare un nuvolo di zanzare che ha deciso di fare provviste con il mio dolcissimo sangue e trovo tra la folla un vecchietto pelato. Afferma d'essere un mio compagno di classe delle medie. Non ci credo ed inizia un'indagine feroce… purtroppo é vero. Mi racconta tutta la sua vita….dall'esame di licenza ad oggi…. mentre le zanzare mangiano. Arriviamo dopo tante peripezie alla sua attuale fidanzata. Che nome soave: Veronica. La creatura soave mi tende la mano per salvarmi …. “Sarai felice ora , dopo tante sofferenze”. Mi risponde l'anziano coetaneo. Mi ha lasciato oggi. Morale della storia: In questi casi fingere un infarto  prima che ti venga per davvero.

Considerazione in un afoso luglio improvviso.

È da tempo che non ci sente. Vi sembrerà strano ma forse solo in questi mesi sto focalizzando che la vita scorre senza che me ne accorga. É una di quelle cose che si capiscono così per folgorazione. Una di quelle cose che si intuiscono in modo ancestrale quando usciamo da nostra madre. Un concetto di uno scontato inaudito eppure di un crudeltà che se ci pensate fa rabbrividire. La mia vita passa nonostante io lo voglia o meno. Da un lato vivo, mi carico di anni, e dall’altro mi resta meno da vivere. Pauroso. Visto che questa situazione profondamente umana non mi deve e non ci deve disarmare dinnanzi alla vita sto facendo tutto quello che ritengo utile per prepararmi ad una buona morte. Silenzi mistici nei quali la domanda “da dove vengo” e “chi sono” possono rimanere senza risposta senza drammi: mi sento amato ugualmente. Una dose di buoni libri per essere preparati per l’eternità e la voglia di creare qualcosa, di dare ordine a tutto quel marasma di emozioni che spesso intasano la mia povera testa. Come se avessi delle doglie per partorire qualcosa che ora mi è vago. I maliziosi potrebbero dirmi che è solo un mal di pancia ( considerando l’enormità del mio ventre). Amo credere che la poesia possa fare la differenza. Vi dedico questo video.