3 marzo 2023
di michelecasella
La tragedia e la finzione

Ci sono cose difficili da accettare. Sicuramente la morte, soprattutto se tragica, è una di queste. Ma, con lo sforzo della ragione, è comprensibile. Rientra in quell’insieme di vicende che potremmo definire “ineluttabili”. La morte fa parte del nostro percorso e questa idea, piaccia o meno, la dobbiamo far nostra.
Più spigolosa è l’accettazione che la morte possa avvenire in modo così scontato, banale, per una serie di circostanze facilmente evitabile. L’assurdità rende la morte insostenibile ad ogni pensiero.
Il naufragio di Cutro è l’ennesima rappresentazione della morte come “accaduto” intriso di assurda fatalità. La fatalità, sì, risulta irritante, molesta, quasi angosciante. Morire così è un dolore forse maggiore del morire stesso.
Quelle vite potevano essere salvate. Vi era un rischio, certo, ma l’imbarcazione era a poche decine di metri dalla spiaggia.
Potrei qui adesso perdermi in banalità e scemenze, congetture, moralismi e tutto il resto. Mi rimane lo sgomento e il dolore per le immagini e le parole dei testimoni impotenti che tratteggiano il naufragio. Sono feroci, graffiano la mia coscienza. L’evidenza basta.
Mi è intollerabile più di ogni cosa il postmortem.
La cosa che mi risulta insopportabile è la disumanizzazione. Davanti ad un fatto simile, chi non prova nessun dolore non ha nemmeno la decenza di starsene zitto oppure affrontare questo fatto sanguinante con un minimo di decoro.
Il punto è questo: non c’è più contegno (parola così desueta ma attualissima). “Se ne stiano a casa...”, “Se rischi può succedere” oppure “Se la sono cercata …”, come se si stessa parlando di semplici questioni risolvibili con una conciliazione qualsiasi, un tamponamento, un problema di vicinato, il disturbo di un cane molesto nell’appartamento adiacente. Lasciamo in pace i vecchi matusa (Feltri mi fa tenerezza), e con tutto il rispetto dovuto ricordiamoci che hanno sempre detto quello che colava dalla testa senza filtri, ed invecchiando non possono che peggiorare. Ma la gente comune, le istituzioni, l’umanità libera dall’arteriosclerosi, dovrebbe porsi diversamente.
Dovrebbe l’umanità essere umana.
Non c’è più il senso di gravità. La tragedia è un’esperienza che non viene più raccontata e di conseguenza non viene neppure compresa. Purtroppo viene ridicolizzata.
Abbiamo smarrito la percezione della complessità. Le persone che sono morte a causa delle onde fameliche del mar di Calabria, non sono sprovveduti che hanno fatto un azzardo, non sono avventurieri, non sono quello che i “non umani” raccontano.
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I corpi ripresi dalle telecamere del TG esprimono la crudeltà del destino e l’accanimento dell’ingiustizia tra la pubblicità di un sugo pronto e di un’auto elettrica, il tutto seguito poi da un servizio sulla Fashion Week milanese o le imprese calcistiche del momento. Un beffa alla memoria. Tutto passerà sommerso dal flutto del nulla di cui ci nutriamo, inghiottito dal mare dell’oblio. Il naufragio subirà un altro naufragio, nel mare della memoria.
La nostra umanità ha bisogno di vagliare le cose, di darle un ordine, un gerarchia. Non possiamo considerare alla stessa stregua tutto, la morte innocente di disperati, la chirurgia plastica, le finte pene amorose costruite a tavolino degli influencer di turno… Le cose sono diverse, la diversità delle cose ci fa vivere il senso della tragedia e lo distingue dalla commedia, dall’ordinario. C’è la tragedia che si accascia sull’umanità e poi c’è la leggerezza, meravigliosa, ma è un’altra cosa.
È una questione di sensibilità, di gusto. Il dolore e lo sbigottimento, se non sinceri, almeno dovrebbero essere travestiti con la decenza, il rispetto, l’intensità del ruolo, con “istituzionale”e credibile cordoglio. Siamo capaci di orazioni funebri meravigliose da tenersi al funerale di sconosciuti, di persone che magari in vita abbiamo detestato. Se non viene naturale l’essere umani, è auspicabile il silenzio per non compromettere la finzione.
Il silenzio disarmato davanti al dolore, il silenzio che alimenta una reazione e l’indignazione è l’auspicio che faccio al genere umano. Per il pettegolezzo c’è tutto il resto. Il quadro all’inizio rappresenta un corpo che osserva le stelle. Il Cielo ci ispiri ad essere migliori, ad essere veri, ad essere “tragici” nel senso più alto.