michele casella

Diario minimo

Quando penso a questa parola, progresso, ho sempre un fremito di sospetto misto rispetto. I falsi miti nati da questo concetto pregnante, che è un must oggi per sentirsi moderni, ha un doppio taglio, svariati rischi che stanno spopolando. I suoi figli sono più popolari e pericolosi del padre. Il danno pendente di questo stato di cose è che si perda l’orientamento, non tra il giusto e lo sbagliato, ma tra il conveniente e l’inutile. Ecco il progresso è tutto in questa sintesi: cosa è veramente utile? In questa serata in cui dovrei essere stato presente in molti incontri importanti, ho deciso di dedicarmi ai miei figli. Da quando abbiamo abolito la tv, le bambine si divertono con altro ed io pure. Questa sera mi sono imbattuto in un pamphlet, residuato bellico dei miei studi universitari, che nella luce soffusa che avvolge il mio divano, questa sera ha assunto connotati nuovi. Si tratta di Artaud e il suo “Il suicidato della società”. Opera che ha fatto da filo conduttore ad un interessante mostra al museo d’Orsay. Particolarmente interessante, nel testo di Arthaud che rivaluta l’opera e l’estetica di Van Gogh, è il concetto di deflagrazione, fenomeno quest’ultimo a cui la società si sottopone non accettando le diversità psichiche, stigmatizzandole. La deflagrazione si innesca con l’incapacità di cogliere l’unicità della pazzia. Interessante teoria di quanto l’anormalità sia collante per la società. Un giorno mi prenderò il lusso di lasciarmi andare, del far esplodere la pazzia e i suoi frutti inibitori della distruzione. Progresso e deflagrazione. La non normalità è progresso, la paura e la normalità distruzione. Teorema interessante. Pronti per il sonno. Van Gogh e il suo ritratto, graficamente il progresso del colore, umanamente la deflagrazione della figura.

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Francia addio

14 luglio nella capitale. La Francia è una nazione che pretende d’esserlo. Bandiere, patriottismo e centralità. Presunzione o consapevolezza di essere tout le monde. Un’esperienza che mi disorienta, tanto è impattante. Che si proietta nella percezione che questa città ha di sé. Se qualsiasi cosa brutta nel resto del pianeta fa cagare, a Parigi è tendenza, creatività, glamour. Ma ora me ne vado. Torno nella mia terra fatta di cose piccole che restano. Che dire ora che siamo alla fine? Parigi è un crogiolo di gusti, etnie e solitudini. Sono ancora qui sugli Champs-Élysées e questa città straordinaria non mi manca già più. Un’esperienza bella, molta sana solitudine e voglia di godere, da lontano, di quello che la vita mi ha dato. Ora posso starmene tra le braccia delle mie donne per le quali sono l’unico. Adieu Paris.

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La cecità di chi ha ragione.

Il mondo sarà dei piccoli. Me ne convinco osservando divertito le esplosioni bambinesche di Samy, la conducente mia, quasi cieca, in questo viaggio inatteso e per questo esistenziale. Un trombettista in metrò per lei diventa un’orchestra Jazz, un coro improvvisato da alcuni turisti nella chiesa di Saint Germain è un sublime canto gregoriano che eleva lo spirito alle sfere insondabili. E di tutto ringrazia, delle occasioni, delle possibilità, della musica rapita per strada, delle piccole cosa che la rendono, inspiegabilmente, alla mia cecità moderna, indissolubilmente felice. E dinnanzi a tanta gratitudine ed infantile stupore non posso che inginocchiarmi, perché la parte migliore del mondo sarà sua, perché la sua originale insipienza renderà il pianeta un posto migliore. Erediterà la terra perché è giusto, ha atteso il momento con la pazienza di chi confida immersa nel buio e le verrà fatta giustizia. Noi abbiamo ceduto alla ragione e questo ci darà torto.

Sabato transalpino

Bella cena con amici, aglio ed olio con dei Barilla, una rarità, bagnati da un discreto bordouax. Ora passeggiata. I nostri amici hanno condiviso i loro viaggi e le loro esperienze. Un moto di sana invidia e rispetto per chi ha voluto far proprio lo status di cittadino del mondo. Qualche rimpianto riaffiora, ma sono felice e questi basta. Ora partita per il terzo posto mondiale in un bar Parigino, birra e un po’ di nostalgia. Notte mondo.

La coerenza una virtù reazionaria

Al Pompidu passeggi tra installazioni di artisti contemporanei dal 1980. L’arte è l’ombra dell’umanità. La può deformare, ma in questa proiezione sopravvive l’animosità della civiltà che invita se stessa a pensarsi, a guardarsi. Con il Rinascimento la ricerca di una bellezza che offuscasse la storia. Poi il Barocco e il teatro, la scena del mondo. L’Illuminismo e il ritorno ad una linea che fosse ordine. Oggi un’arte che cerca se stessa nascendo quasi controvoglia. Un venire al mondo come un impulso ineluttabile. La contemporaneità non vuole dire nulla all’alterità, cerca solo se stessa, ricomporre una forma individuale, un’identità. Accusandosi ed autodenunciandosi, sperando di venir liberata da un’epifania di senso, anche non compiuto, basta sia primordiale. Avvalendosi della facoltà di non rispondere.
Un’arte che ha smesso i panni della relazione per suscitare l’esperienza dell’inclusione ambientale. Utopia della spersonalizzazione, un’avanguardia intesa come “vado avanti io è poi ti racconto”. Un presidio nella terra della predizione, che forse non avverrà. Il concetto e la sua prole lascia una libertà tale da non percepirne più il bisogno.

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Poi salgo il niveau secondo e mi immergo nella pittura dei primi del novecento: Matisse, Picasso , Leger, Otto Dix, Chagall, Carrà e Dalì. Tutto torna a vestirsi di emozione e ricerca.
Il gesto si riappropria della potenza che gli fu consegnata nei graffiti delle grotte di Lascaux.

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A mia moglie che amo in modo sconsiderato

La lontananza, quando vi sono legami profondi, assume un sapore introspettivo. Il tempo a disposizione per il pensiero apre i battenti alla purezza dei ruoli. Debora, mia moglie, ha un posto di sovranità indiscussa nel mondo sentimentale che abito. Un affidamento, una scelta mia, la costrizione è altrove, non con lei. In questa settimana d’immersione nell’arte è palese quanto la mia donna sia perfettamente terrena. Intesa nel senso più alto, quasi mistico. La sua gravità mi ancora al bene del qui e ora, la sua prudenza è la materia che compone il colore e da la consistenza al segno che imbratta le pagine della vita. Senza nulla da perdere il carboncino non solcherebbe la carta e la lascerebbe bianca, senza memoria. Il suo sorriso é la conferma che Dio è un creativo che sa fare il suo lavoro ed è una grande consolazione. La mia sposa operosa e concreta mi trattiene alla terra e mi immerge nell’amore che produce l’arte del mestierante, dell’artigiano. Mia moglie è così: perfettamente umana e dolcissima. Il crinale sul quale cammino con lei tra sacro e profano è l’avventura del nostro matrimonio, del sentimi suo totalmente e pienamente. A lei che è un punto attorno al quale orbito, che è divisionista quando affrontiamo la vita ed impressionista quando l’accogliamo, dedico un’opera di Pierre Bonnard le grand jardin del 1894-1895, che la rappresenta e dipinge, come ogni sera, con i nostri figli, divina sul far del tramonto.

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L’industria del turismo

Poi arrivi al Louvre e ti manca il respiro. Il mondo è qui e per soli 12 euro. Una miseria per godere della storia dell’umanità degli ultimi 5000 anni distillata in segno, colore e materia. Come ci si sente piccoli e fortunati. Il mistero degli egizi, il protobarocco etrusco. La razionalità artistica dei greci, i volumi e il realismo romano e il ritratto alessandrino. Poi tanta Italia per arrivare a quel fenomeno di costume che è la Gioconda irrisa da quel francese secco e vitale di Duchamp. Tizian, Caravaggio, Mantegna. Una degna delegazione.
L’esserci vale il viaggio.

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Paris by night

Se la Parigi diurna è un crogiolo di fretta e di diffidenza cosmopolita, durante la notte si ubriaca di retorica e poesia. È una città fatta per il buio, per le luci elettriche aranciate che la fanno un po’ deco’, signora attempata ma ancora piacevole. La notte Parigi è una città dipinta, un poster sdrucito dalla storia, appartiene ad una dimensione che solo l’arte, con approssimazione, può argomentare. È il ritratto fedele di tutti quelli che la amano.

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Metropolis

Nella metropoli parigina ci si sente come un batterio in una cucina malsana. Una fiumana di volti, vite, preoccupazioni che corrono ininterrottamente. Non si trattiene l’umanità! Cola ovunque. Si è una parte infinitesimale di un sistema ecologico nelle relazioni ed economico nella ragioni. Inizio in differita ad apprezzare la provincia. La dolcezza della mia campagna. Pur villani ma pur sempre qualcuno. La Grandeur è un insieme immenso di non persone. È un tutto. Mi è bastata una giornata per sentirmi solo.

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Scrivere è vivere

Perché scrivere quotidianamente un diario, un blog? Per fuggire dall’oblio. Il bisogno profondo di sopravvivere alla memoria attanaglia chiunque. Un fumettista definiva gli artisti in due categorie: i marziani, quelli che segnano uno spartiacque tra il prima e il dopo; poi ci sono gli artigiani, quelli che animano le pagine di storia e del divenire di ogni giorno. Aggiungo io, sommessamente, la categoria dei graffittari. Quelli come me che graffiano la storia trattenendone un’inezia sotto le unghie. Un po’ vandali, artisti nelle intenzioni, banali per tutto il resto. Ma quel segno rimane, per sempre. E questo concede una misera sensazione di eternità. Tra un ‘ora sono in aereo quindi non ho accesso alla rete. Lascio il mio segno ora, qui al gate 2 per Parigi. Bonne nuit.

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