michele casella

Diario minimo

Apocalisse adriatica.

Primo giorno di vacanze. Le mie piccole mi svegliano saltellando sulla mia ernia ombelicale. Le altre due non riescono a riemergere dallo stato comatoso adolescenziale nel quale versano. Che spettacolo! Mia moglie é bellissima anche quando russa. Colazione improvvisata con vari spargimenti di sangue. Preparazione della prole per la balneazione. Allucinante. Cambusa da rimpinguare. Mi offro volontario per l’assalto al supermarket con la supervisione della mia primogenita. Tutto dopo esser sopravvissuto ad una commozione cerebrale della mia signora. Alle casse, una bottiglia di Corona, la cerveza mas fina, cade dall’orlo del nastro esplodendo sul pavimento ed imbrattando ogni oggetto nell’arco di 50 metri. Mia figlia finge di essere orfana mentre nella cassiera vedo l’odio sincero di chi potrebbe anche uccidere. Carico di tutto, torno a casa e realizzo la verità: sono in guerra. Contro di voi, uomini asciutti e single, che mi guardate con occhi pieni di pietà mentre trascino il mio enorme carico da brava formica. Contro di voi palestrati con le braccia bicipitose tappezzate di carta da parati che vorrebbero essere tatuaggi. Sono in guerra con te, bronzo di Riace dall’accento milanese, che mi superi sprezzante mentre spingo il mio passeggino double con sopra tre sdraio, un ombrellone, sacche e giochi vari, borsa frigo e asciugamani e tutto il resto dell’universo… con la sufficienza di una moto granturismo nel sorpassare un trasporto eccezionale. Ce l’ho con voi, uomini tristi ed atletici, che avete il massimo momento di socialità durante l’aperitivo serale, che vi mettete il pareo che io al massimo posso usare come bandana, che al posto del ventre avete una riproduzione fedele dell’addome di Big Jim. Vi odio, piccoli edonisti asciutti e depilati, avete donne con cui non fate l’amore per paura di sciuparle, che a stento vi renderanno padri e felici. Non capirete mai l’effetto che fa lo sguardo della madre delle vostre figlie mentre le guarda finché scoprono il mare, non gusterete il senso di infinito nel costruire qualcosa di così imperfetto come l’amore eterno….non assaporerete lo stupore del susseguirsi delle stagioni nei vostri cari, nelle creature che l’imprudenza di chissà chi vi ha affidato. Io, sudato, dal ventre enorme come una duna, peloso come un grizzly, ho una missione: sopravvivere. Arriverà l’apocalisse, il tappo sarà tolto e tutto il genere umano verrà prosciugato da un sottile pertugio. Tutto verrà risucchiato, e voi uomini prestanti e sottili passerete da quel buco per essere sottoposti al giudizio universale… animatori per i bimbi di tutti i demoni dell’inferno. Mentre noi padri verremo salvati dalle nostre panze e le mamme saranno trattenute dai loro culi… Sarà l’alba di un’era nuova, di pace eterna. Una voce dal cielo, al termine della Fine, dirà solennemente:”Vieni figlio prediletto, vieni qui a berti una birra”. Così sia! Amen.

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La colpa del signor K.

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Speravo che almeno in vacanza nel proletario lido di Pomposa, il latente e strisciante “senso di colpa” originario mi avesse momentaneamente licenziato… Ed invece no! Ora che alla sera, tra queste mura vacanziere, il tempo è molto, ne tocco la sagoma con maggiore nitidezza. La riconosco ma non so darle un nome. Ed è di tutti, da sempre. E il signor K. lo sa bene. Un’impronta lasciata dalla nostra educazione giudaico-cristiana? Dalla nostra, forse, naturale propensione a sentire estranea la felicità… ?Rimane un mistero. Il signor K. neppure lui conosce la sua colpa, per questo non si ribella. Piange, precisa, chiede dettagli… Si arrampica in difese narcisistiche. Ma sa bene di avere un’imprecisata colpa. Il rapporto con il padre, i tempi troppo anticipati, l’ambizione, il creder morto chi invece era ancora caldo, la musica nascosta ai più…. Forse l’essere diligentemente parte del sistema, forse l’aver rinunciato ad una posizione netta….al lume. Forse la meschinità dei propri interessi… la colpa del signor K. è non conoscere il nome, il volto della sua colpa e aver la presunzione di poter vivere ugualmente indifferente. Chi lo accusa lo ucciderà, con un fendente al cuore, tenendolo per mano, fissandolo negli occhi come un cane affamato a cui è stata negata la colazione. Qual’é la mia colpa, la tua, la nostra? Cerco un nome senza dimenticarla nella giustificazione. Certe storie ti restano dentro e ti accompagnano o perseguitano in modo kafkiano.

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Tutto suo padre

Certamente la colpa è del caldo. Penso a cose inconsuete, che vestono a festa di giorno feriale e mi fanno crogiolare nella nostalgia, quella che verrà. Ieri mi è venuta voglia di stare con mio padre. Ora che solca come un ragazzino gli 81 anni non posso che pensare che domani potrebbe essere altrove. Ed ora che è qui vicino a me, seduto a questo tavolo di questo ristorante troppo caro per essere buono, me lo rivedo forte, quando io bambino cercavo la sua protezione. Le sue mani grosse e ruvide sembravano corteccia, la scorza di un grande albero che mi faceva ombra, che mi riparava dai colpi del sole e del male. Era irraggiungibile, quasi mitico. Ed ora è qui, mio ospite, sazio di anni e piccole soddisfazioni, che con prudenza hanno costruito la solidità del vecchio. Indifeso e fiero, lo osservo ora da adulto e da padre e gli voglio forse il bene genuino che si ha per il commilitone, per la propria immagine allo specchio, per le proprie radici. Non glielo dirò mai o forse quando sarà tardi, ma sono felice di esserne il frutto, grato di essere la risultanza di un semplice contadino, caparbio come la terra argillosa, che mi ama con tutti i limiti di chi coltiva l’amore senza conoscerne chiaramente la natura. Tutto suo padre…

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Le parole del Silenzio

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Questa notte me ne stavo nel mio giardino, per caso, sommerso dalla luna. All’improvviso un frastuono assordante … Il silenzio agreste imbevuto da qualche sparuto volo di zanzara. Sovrumano prima di tutto. E il silenzio parla delle sue cose, i rimpianti, dei sogni soffocati dall’afa. E sotto questo manto di luce lattiginosa le parole, tutte, come un flusso eterno, scorrono verso l’estuario dell’oblio. Le osservo come una scia che attraversa la mia testa, il tempo che mi rimane. Godo infinitamente del fatto che nulla mi si attacca, nulla mi bagna. Sotto questa luna, stasera, sono infinitamente libero.
Pittura “visionaria” inglese, Fussli, Il Silenzio.

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In memoria di Marquez. Posta da Macondo

Come a Macondo una malattia mi ha colpito ed ora soffro di insonnia e di perdita di memoria, devo mettere bigliettini in tutti gli oggetti per chiamare giustamente le cose e per spiegarmi come le cose vanno usate. “Le cose hanno vita propria, attendono solo qualcosa che ne risvegli l’anima”, afferma ancora Melquíades. Ma gli zingari non sono più credibili come un tempo…Realismo magico ed altri artefici, pozioni violacee che mi guariscano e sanino la mia coda animale ed un secolo di solitudine del mondo. Aureliano ha conosciuto il ghiaccio, grazie al padre, ed ora può essere fucilato. La morte, come a Macondo, è la visita di una banda musicale che ti sveglia nelle prime ore del meriggio in un caldo agosto, con una musica da ballo, un ripetersi inesauribile di umanità. Alla fine, come i Buendia, in cammino verso il Destino non possiamo che cercare buona compagnia per essere presentabili alla Fine. “Gli dica, sorrise il colonnello, che non si muore quando si deve, ma quando si può.”. Da cosa nasce tutto…tutta la magia? Dalla miseria e dall’ignoranza e dal tempo che è galantuomo. Così mi ha detto mio padre.

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Elogio alla banalità

Andata e ritorno Assisi e casa per doveri civici. Cosa non si fa per amore. Con il mio giovane autista promotore del fastidio cosmico sono in autostrada. Immerso in questa infinita lingua d’asfalto con un odore di fieno bagnato e il rollio delle gomme come accompagnamento musicale. Penso alla banalità e mi faccio il mio viaggio. Rivalutandola. La luna mi fa da abat-jour e mi ispira moti nuovi. Da sempre il mio approccio al banale l’ho vissuto come un atterraggio di fortuna. Si decolla con le aspettative, i sogni, poi i motori vanno in avaria con la realtà, concludendosi il tutto nella frustrante accettazione del come sono le cose, la propria vita. I sogni si rivestono di “e se”, e la giornata prende una piega inattesa, disarmante. Avrei voluto essere il professor John Keating ed invece lavo i piatti e cucino con una tesi di laurea nel cassetto che tutti i giorni guardo con vergogna. Ci sono tutti gli ingredienti per rassegnarsi all’oblio della comune disillusione. Invece no. Coup de théâtre, la banalità é bella, é fertile, é creativa. Chi si rassegna è uno che ha smesso di sognare oppure non lo ha mai iniziato. Certo, cambiare pannolini, mediare ritocchini di sigarette a fumatori incalliti è lontano dal citare versi di Walt Withman in piedi sui banchi di un liceo. Ma è la mia vita, frutto di scelte, coincidenze, doni. Un flusso temporale in cui lei, la nostra imputata, diventa una boa, un riferimento. E la banalità, in tutto questo acquisisce una fragranza dolcissima. Un mare di occasioni, interpretazioni e poesia. Ed io ci sono dentro. Un’immensa occasione per cavalcare la vita ogni giorno senza perdersi nulla. E poi, per dirla tutta, uno che si fa 8 ore on the road per l’Italia per svegliarsi accanto alla donna che ama e farsi sbaciucchiare dalle figlie che adora è già ripartito per un nuovo viaggio. Oh capitano o mio capitano….

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Overtoure umbra

Alcuni luoghi hanno un’anima. Assisi è uno di questi. Sarà la suggestione umbra, il merchandising serafico, ma tutto richiama lo spirito a pensare a cose “alte”. Qui con tutta la mia famiglia si respira un’aria di comunione mondiale, di pace che altrove sembra solo una formalità stucchevole. Aria buona per il cuore e non solo. Lode all’Altissimo e a tutte le sue creature.

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Transizioni

Ad un certo punto ti accorgi che tutto passa e navighi senza saperlo. Non perché lo dice Sgalambro, Eraclito o le istanze della consolazione. Questa cosa diventa tua perché l’inutile, come scrivere un blog, si muta in occasione da non perdere, in viaggio. La transizione si veste a vita, perché cambia la disposizione del mobilio che arreda l’anima. Le creature che hai accompagnato al mondo sono abbastanza grandi da continuare da sole, sono ottimi mozzi senza aver loro insegnato un solo nodo, e te ne fai una ragione incensando di nostalgia i ricordi. Le cose per cui hai combattuto, in questa traversata, non sono mai valse del tutto la guerra. Le alchimie dell’uomo e del potere, le piraterie, le sortite clandestine, alla fine, dall’irritazione profonda che procuravano, oggi, dopo questo viaggio, fanno sorridere, divertono nella loro grottesca ed animalesca goffaggine. Siamo schiuma che bagna la china e ci crediamo Venere. Un mare immenso ed oleoso di umanità, di attese, di speranze, di fallimenti, di “non detti” e di singoli ed inconsulti atti d’eroismo. E tutto naviga e scorre, romanticamente nell’attesa dell’approdo. E nulla sta mai fermo. Come sunto di questa considerazione nautica, la stessa barca, vista in due stagioni dell’umanità, il romanticismo, con Caspar David Friedrich

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ed una rielaborazione di Claudio Parmiggiani della stessa opera, presso la collezione Maramotti (http://www.collezionemaramotti.org) di Reggio Emilia. Buon viaggio

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Teorema mediorientale e non solo. Citaz. libera dello scrivente del pensiero di una persona semplice.

Ipotesi 1 Infantilismo postmoderno
Le guerre ci sono perché ci sono le armi. Le armi si costruiscono per uccidere. Ricordate Kubrik, le scimmie, la pietra nera e l’osso usato per ammazzare il prossimo…. Eliminando le armi ed azzerandone il mercato, non muore più nessuno. Una sana cazzottata magari, una sassaiola, per chi vuole fare alla guerra a tutti i costi.

Ipotesi 2 Economia dell’amore.
Se molte persone dovessero perdere il lavoro, per la chiusura delle fabbriche di armi, coinvolgiamole in attività che facciano amare la vita e il prossimo. Lavori remunerati che facciano superare la zavorra della violenza.

Ipotesi 3 Promozione della cultura stanziale.
Ognuno ama la propria casa, la propria terra. Se qualcuno migra è perché la guerra o un mercato perverso rende la propria casa inospitale, pericolosa, senza futuro. Con la distruzione delle armi, si investa l’equivalente nella promozione di un’economia sostenibile e produttiva. Non più morti ma soldi puliti ed umani.

Tutto così semplice da sembrare beffardo il parlarne. Ma l’uomo non è una creatura semplice. Le armi c’entrano sempre. Difficile da contestare. Una vignetta di Vauro per meditare, per i bimbi siriani. palestinesi, afgani e di qualsiasi posto in cui sia loro negato il diritto alla felicità.

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Angolo poetico notturno

L’Allegria esplode improvvisa
dal riso sguaiato di mia figlia.
È una cometa alle prime guide
che butta giù un terzo delle stelle:
per le altre c’è il decesso
per malinconia.

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