Io non sono normale

di michelecasella

Un amico curioso mi telefona. Tra le tante cose dette ad un certo punto sbotta “ho letto il tuo blog, sei troppo poetico, la poesia è morta, dovresti essere più normale”. Mentre ascolto la sentenza, devo avere lo sguardo di uno a cui hanno versato il contenuto di un pitale dalla finestra sulla testa. Lo capisco da come mi guarda mia figlia in un attimo di riemersione da Wathsapp e dalle sue spuntate blu. Mi dico: “Questo mi chiama, per invischiarmi nel nulla e vuol fare il copywriter con me?”. Al cellulare, facendo attenzione a non inciampare nel mio scroto, mi prendo dieci secondi di silenzio. Me lo devo. Penso alla normalità. Cosa sia poi questo concetto che è alto per chi si sente super ed è basso per chi si sente un invertebrato. Il suggerimento, del mio, ora, ex amico, mi ha urtato. Perché con il suo candore da rompiballe ha svelato un mio limite. Non posso essere normale perché non ho una vita normale.
Mentre il silenzio si dilata e l’imbarazzo suo esce dall’auricolare gelatinoso come il blob, penso alla mia non normalità. Alla mia famiglia fatta di 5 figlie, di svariati colori. Alle mie serate da naufrago tra tisane, un oceano di pannolini e coccole. Le mie piccole mi assorbono così tanto che sono più casto di un monaco benedettino. Poi il resto, gli zii imbarcati cammin facendo, che vivono sempre nella mia grande casa. Giampi che ha fermato il suo orologio negli anni settanta. Ascolta ancora le musicassette, gli Abba e passa le mattinate a scroccare caffè e ad imbrattare centinaia di puzzle ( chi sa cosa sono, oltre i cartoncini da incastrare, i puzzle?). Poi Vior, con il suo girello o ferrarino, che mi travolge con centinaia di assurdità che portano in sé la saggezza di chi è semplice. “Beati ti” mi ripete nel suo rumeno mischiato ai dialetti della provincia. Stefano, che mi aggiorna sui movimenti gastrointestinali del mattino, finché bevo il caffè. Poi alla sera, durante la cena, mi racconta l’esito delle restanti evacuazioni, mettendola sul filosofico però, per arrivare a chiedermi alla fine un ritocco di sigarette. Lo sappiamo entrambi che poi va a finire lì. Piace a lui e va bene a me. È il nostro palese segreto. Poi la Samy, plurilaureata, che viene a chiedere a me delucidazioni sugli assorbenti. Ancora, Clement, dalla Nigeria per annunciare la mondo il Verbo. E alla fine il Cavalier Devasta, detto anche Kami ( da Kamikaze ) oppure Fasti ( da fastidio cosmico ) che appena lo vedo nell’arco di un nano secondo mi fa passare dall’incazzatura più feroce ad un bene misericordioso di cui io stesso mi stupisco. Alla fine mia moglie, che si muove come una scheggia impazzita, per resistere, resistere, resistere. A volte, inopportuno come un peto in ascensore, mi soffermo a guardarla innamorato, per quel che sono capace. Mi trafigge sempre con gli stessi occhi di Atahualpa e sembra dirmi “descansate niño, che continuo io”. E questo mi parla di normalità! Ondate di goliardia senza pretese, di stranezze quotidiane, di brava gente e ruffiani, di poveri e di coglioni, di speranza e furberia, questa è la mia normalità! “Non te la sarai mica presa, vero?”. Bonariamente rispondo: “No, scherzi, anzi, un po’ di idiozia, mi riporta alla normalità delle cose, senza offesa vero”. “Bene, a presto e scrivi ancora, mi raccomando”. Se ora mi leggi amico mio, cosa che dubito, un fraterno invito a defecare nell’infinito non senso dell’esistenza e che la materia oscura imbratti le tue mani affinché lascino un segno nel cosmo e nella storia. Amen

Mi dedico un ritratto di Atahualpa Yupanqui, che non c’entra nulla, ma è un grande.
atahualpa yupanqui

Per esagerare